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CAP. XXIX.


IN CHE CONSISTA LA BELLEZZA DELLA LINGUA

che dal 500 insino al principio del presente secolo

era venuta decadendo.


Venuto io a quistione con un giovane, di sottile ingegno, ma non ancora versato nella lettura de’ classici che fanno lo fondamento di questa opera, al quale, una scena che m’avea letto con molta enfasi nel Metastasio pareva essere, per lo meno, così bella nel suo genere, come sia un canto di Dante; e non potendo egli trarre dalla mia bocca un solo applauso per lo dolce suo poeta, anzi trovandomi ostinato nello affermare che non è scena in tutto quel drammatico che a me possa dar diletto, perchè vi manca la lingua; egli, veduto che non ci potevamo intendere, mi scrisse giù il primo verso del soprapposto argomento, dicendomi che gli facessi un poco concepire, se possibile mi fosse, in che consista questa bellezza della lingua; e per qual ragione si dica, o sia lecito il dire, lo stile di questo autore esser più bello, e men bello lo stile di quello altro, (quando non vi siano errori); anzi tale che non vi si trovi la lingua. Io gli feci uno sbozzo del seguente ragionamento, il quale, amplificato, io pongo qui a sbramare qualunque altro giovane si trovasse ugualmente perplesso; e so che ne son molti di questi cotali, solo perchè, non che studiato, ma non hanno pur letto i classici (1).


(1) Già confessai che io pure di 22 anni non aveva ancora letto i classici; e il ridico acciò che coloro che si trovano giunti a quella età non cedano esser troppo tardi.