Vai al contenuto

Pagina:Grammatica italiana, Fornaciari.djvu/365

Da Wikisource.

331

CAPITOLO IV

La rima e la strofa.


§ 1. Quell’ufficio che fanno gli accenti ritmici nel giro di un semplice verso, lo fa la rima nel giro di più versi riuniti insieme a formare una strofa; poichè la rima, ponendo in relazione fra loro diversi accenti ritmici in più versi contigui o vicini, viene a formarne un periodo armonico di varia lunghezza.


§ 2. La rima (parola derivata da ritmo) consiste nella ripetizione della vocale su cui cade un accento ritmico e delle lettere o sillabe seguenti che compiono la parola. Nelle voci tronche si ripete soltanto la vocale accentata e la liquida seguente, se vi è; p, es. virtù, gioventù, amór, dolór, nelle piane si ripete la sillaba seguente, p. es. véro, sincèro; nelle sdrucciole le due seguenti; p. es. pállido, squállido.

Una forma rozza e imperfetta di rima, usata nei canti popolari, è la così detta assonanza, cioè, la corrispondenza di suoni non uguali, ma affini tra loro, o per consonanti, come in véro, séno; onóre, suóle; o per vocali come in potére, salíre.


§ 3. La rima cade ordinariamente fra le parole finali di due o più versi; ma talvolta anche fra la finale di un verso, e la parola ove ha luogo la cesura. Esempii:

Ed ai vóli tropp’álti e repentíni
Sògliono í precipízi èsser vicíni