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Pagina:Grammatica italiana, Fornaciari.djvu/377

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le strofe principali 343

lo più, da un verso senza rima, p. es. (vedi sopra la strofa Italia mia):

     Canzone, io t’ammonisco
d Che tua ragion cortesemente dica,
e Perchè fra gente altera ir ti conviene;
e E le voglie son piene
d Già dell’usanza pessima ed antica
d Del ver sempre nemica.
f Proverai tua ventura
g Fra magnanimi pochi, a chi ’l ben piace:
f Di’ lor: chi m’assicura?
g I’ vo gridando: pace, pace, pace.

Altre volte la chiusa contiene solo l’ultimo sistema preceduto da un verso senza rima, p. es. (vedi la strofe Da’ be’ rami):

     Se tu avessi ornamenti quant’hai voglia,
f Potresti arditamente
f Uscir del bosco, e gir infra la gente.

Gli antichi metrici qualificarono con nomi diversi le diverse parti della stanza usata nelle canzoni, chiamando la prima parte fronte, e la seconda sirima o coda: quando la prima parte potea dividersi in più membri corrispondenti, chiamarono questi, piedi: quando la seconda parte poteva parimente suddividersi, chiamarono i suoi membri versi o meglio volte. — Non parliamo delle Canzoni a stanza continua, nelle quali cioè le stesse rime e talora le stesse parole si ripetono con ordine diverso in una coppia di stanze o in tutte le stanze d’una canzone, perchè sono forme oggi disusate. Chi avesse vaghezza di conoscerle, vegga nel Petrarca quella che comincia Verdi panni, ecc. e tutte quelle intitolate Sestine.

Affine alla canzone ma di minor nobiltà era la ballata, che si componeva di strofe più brevi, ma dello stesso genere della canzone; con questa specialità, che la prima strofetta (di due, tre o quattro versi) colla sua ultima rima dava la rima all’ultimo verso delle strofe seguenti, compresa la chiusa, qualora vi si trovasse aggiunta. Se ne possono vedere esempii in tutti i rimatori antichi.