Pagina:Gramsci - Quaderni del carcere, Einaudi, I.djvu/463

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già le condizioni necessarie e sufficienti perché determinati compiti possano e quindi debbano essere risolti storicamente». L’errore in cui si cade spesso nella analisi storica consiste nel non saper trovare il rapporto tra il «permanente» e l’« occasionale », ca- 67 bis dendo così | o nell’esposizione di cause remote come se fossero quelle immediate, o nell’affermazione che le cause immediate sono le sole cause efficienti. Da un lato si ha l’eccesso di «economismo»2, dall’altro l’eccesso di « ideologismo »; da una parte si sopravalutano le cause meccaniche, dall’altra l’elemento «volontario» e individuale. Il nesso dialettico tra i due ordini di ricerche non viene stabilito esattamente. Naturalmente se l’errore è grave nella storiografia, ancor più grave diventa nella pubblicistica, quando si tratta non di ricostruire la storia passata ma di costruire quella presente e avvenire. I propri desideri sostituiscono l’analisi imparziale e ciò avviene non come «mezzo» per stimolare, ma come autoinganno: la biscia morde il ciarlatano, ossia il demagogo è la prima vittima della sua demagogia. Questi criteri metodologici possono acquistare tutta la loro importanza solo se applicati all’esame di studi storici concreti. Si potrebbe farlo utilmente per gli avvenimenti che si svolsero in Francia dal 1789 al 1870. Mi pare che per maggior chiarezza dell’esposizione sia proprio necessario abbracciare tutto questo periodo. Infatti, solo nel 1870-71, col tentativo comunalistico, si esauriscono storicamente tutti i germi nati nel 1789: cioè non solo la nuova classe che lotta per il potere sconfigge i rappresentanti della vecchia società che non vuole confessarsi decisamente superata, ma sconfigge anche i rappresentanti dei gruppi nuovissimi che sostengono superata la nuova struttura sorta dal rivolgimento dell’89 e dimostra così di essere vitale e in confronto al vecchio e in confronto al nuovissimo. D’altronde gli storici non sono molto concordi (ed è impossibile che lo siano) nel fissare i limiti di ciò che si suole chiamare «rivoluzione francese». Per alcuni (per es. il Salvemini)3 la Rivoluzione è compiuta aValmy: la Francia ha creato un nuovo Stato e ha trovato la forza politico-militare che ne afferma e ne difende la sovranità ter- 68 ritoriale. Per altri la Rivoluzione continua fino al Termidoro, anzi bisogna parlare di più rivoluzioni (il 10 agosto sarebbe una rivoluzione a sé ecc.): così il Mathiez nel suo compendio pubblicato nella Collezione Colin4. Per altri però anche Napoleone deve essere incluso nella Rivoluzione, deve essere considerato un protagonista della Rivoluzione e così si può arrivare al 30, al 48, al 70. In tutti questi modi di vedere c’è una parte di verità. Realmente le contraddizioni interne della struttura sociale francese che si sviluppa dopo il 1789 trovano la loro relativa composizione solo con la terza repubblica e la Francia ha 60 anni di vita politica equilibrata dopo 80 anni di rivolgimenti a ondate sempre più lunghe: 89-94, 94-1815, 1815-1830, 1830-1848, 48-70. È appunto lo studio accurato di queste «ondate» a oscillazioni più o meno lunghe che permette di fissare i rapporti tra struttura e superstrutture da una parte e dall’altra tra gli elementi che si possono chiamare permanenti e quelli «occasionali» della struttura. Si può dire intanto che la mediazione dialettica tra i due principii del I930-I932: AppUNTÏ Dï FILOSOFIA I - 457