Pagina:Gramsci - Quaderni del carcere, Einaudi, I.djvu/570

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miscellanea) 563 Nyàya di Gautama e come YOrganon di Aristotile». Cosi manca in Cina una disciplina filosofica sulla «conoscenza» (Erkenntnistheorie). Il Forke non vi trova che tendenze. Il Forke esamina inoltre le diramazioni della filosofia cinese fuori della Cina, specialmente nel Giappone. Il Giappone ha preso dalla Cina insieme alle altre forme di cultura anche la filosofia, pur dandole un certo carattere proprio. Il Giapponese non ha tendenze metafisiche e speculative come il cinese (è «pragmatista» ed empirista). I filosofi cinesi tradotti in giapponese, acquistano però una maggiore perspicuità. (Ciò significa che Ì giapponesi hanno preso dal pensiero cinese ciò che era utile per la loro cultura, un po’ come i romani hanno fatto coi greci). Il Castellani ha recentemente pubblicato: La dottrina del Tao ricostruita sui testi ed esposta integralmente, Bologna, Zanichelli, e La regola celeste di Lao-Tse, Firenze, Sansoni, 19275. Il Castellani fa un paragone tra Lao-Tse e Confucio (non so in quale di questi due libri): «Confucio è il Cinese del Settentrione, nobile, colto, speculativo; Lao-Tse, 50 anni più vecchio di lui, è il Cinese del mezzogiorno, popolare, audace, fantasioso. Confucio è uomo di Stato; Lao- Tse sconsiglia l’attività pubblica: quegli non può vivere se non a contatto col governo, questi fugge il consorzio civile e non partecipa alle sue vicende. Confucio si contenta di richiamare i regnanti e il popolo agli esempi del buon tempo antico; Lao-Tse sogna senz’altro l’era dell’innocenza universale e lo stato virgineo di natura; quegli è l’uomo di corte e dell’etichetta, questi l’uomo della solitudine e della parola brusca. Per Confucio, riboccante di forme, di regole, di rituali, la volontà dell’uomo entra in maniera essenziale nella produzione e determinazione del fatto politico; Lao-Tse invece crede che i fatti tutti, senza eccezione, si facciano da sé, oltre e senza la nostra volontà; ch’essi abbiano tutti in se stessi un ritmo inalterato e inalterabile da qualunque nostro intervento. Nulla per lui di più ridicolo dell’ometto 15 bis confuciano, faccendiero e ficcanaso, che crede all’importanza e quasi al peso specifico di ogni suo gesto; nulla di più meschino di quest’animula miope e presuntuosa, lontana dal Tao, che crede di dirigere ed è diretta, crede di tenere ed