Pagina:Guarini, Battista – Il Pastor fido e il Compendio della poesia tragicomica, 1914 – BEIC 1841856.djvu/160

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Vien’ fuori, vien’; né star ascoso. — Oso. —

Ed io t’ho per vigliacco. Ma di lei
se’ legittimo figlio
o pur bastardo? — Ardo. —
O buon! né figlio di Vulcan per questo
giá ti cred’io. — Dio. —
E dio di che? del core immondo? — Mondo. —
Gnaffe! de l’universo?
Quel terribil garzon, di chi ti sprezza
vindice si possente
e si severo?—Vero. —
E quali son le pene
ch’a’ tuoi rubelli e contumaci dai
cotanto amare? — Amare. —
E di me, che ti sprezzo, che farai,
se ’l cor piú duro ho di diamante? — Amante. —
Amante me? se’folle!
Quando sará che ’n questo cor pudico
amor alloggi ? — Oggi. —
Dunque si tosto s’innamora? — Ora. —
E qual sará colei
che far potrá ch’oggi l’adori? — Dori. —
Dorinda forse, o bambo,
vuoi dir in tua mozza favella? — Ella. —
Dorinda, ch’odio piú che lupo agnella?
Chi fará forza in questo
al voler mio? — Io. —
E come? e con qual’armi? e con qual arco?
Forse col tuo? — Col tuo. —
Come col mio? vuoi dir quando l’avrai
con la lascivia tua corrotto? — Rotto. —
E le mie armi rotte
mi faran guerra? e romperailo tu? — Tu. —
Oh, questo si mi fa veder affatto
che tu se’ ubbriaco.
Va’, dormi! va’! Ma dimmi: