Pagina:Guarini, Battista – Il Pastor fido e il Compendio della poesia tragicomica, 1914 – BEIC 1841856.djvu/258

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altro numero che quel tenero e molle catulliano. Quando Gio- vanni della Casa, mirabile uomo cosi nell’una come nell’altra lirica poesia, s’avvide troppo bene che questo luogo era tra’ nostri lirici ancora intatto, e’ fu primiero a concepire nell’animo e nell’orecchio il numero oraziano, insegnando di sostenerlo, di dargli nervo, di rompere a tempo, di portare periodi, di fare scelta di parole, d’aggiunti e di traslati nobili e pieni di maestá. Ora, stante la diversitá di questi duo stili, se si parla del grande, dico esser cosa falsissima che tali nel Pastor fido si trovino gli ornamenti, si come quélli che, per esser nervosi, non convengono al verisimile di chi parla, ma sono propri o di chi loda o di chi celebra o di chi, rapito da gran furore, ha sol per fine l’amplificare, l’illustrare e portare al ciel quel soggetto di cui si tratta. Nel Pastor fido il numero non è turgido, non è stre- pitoso, non ditirambico. I suoi periodi per lo piú non son lunghi, non concisi, non intralciati, non duri, non malagevoli da essere intesi, se molte volte non si rileggono. I suoi traslati son presi da luoghi significanti, da luoghi non lontani, da luoghi propri ; la sua favella è pura ma non abbietta, propria ma non vol- gare, figurata non enigmatica, leggiadra non affettata, sostenuta non gonfia, tenera non languente, e tale, per concludere in una sola parola, che, si come non è lontana dal parlare ordi- nario, cosi non è vicina a quel della plebe; non tanto elaborata che rabbonisca la scena, né.si volgare che ’l teatro la vilipenda; ma si può insieme rappresentare senza fastidio e legger senza fatica. E questa è quella nobiltá di favella, che c’insegnò, se io non m’inganno, Aristotile, la qual, essendo fuor dell’uso co- mune, in quanto s’allontana dal proprio, acquista del pelle- grino. e ’n quanto s’accosta all’uso comune, diventa propria. E, si come il musaico è opera di stilo e par di pennello, cosi una tal favella, che sembra a chi la legge si piana, è tuttavia malagevole fuor di modo; ma la difficultá è tutta posta nel farla tale, che non sia malagevole a chi la legge: la fatica è pur del poeta, il quale pena perché chi legge non abbia pena, e que’ poemi, che non hanno questa vertu, il vero fine dell’arte, secondo che a me ne pare, nonconseguiscono. Ma, per tornare a proposito,