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La Fossalta 321

E se egli fosse stato a Benevento, in luogo del quasi saracino Manfredi, chi può dire se la storia d’Italia sarebbe stata quella che fu?

Negli ozi del carcere il prigioniero poetava.

Ingegnoso e colto, come furon quasi tutti i rampolli di questa razza di Svevi mal trapiantata in Italia, alcuni dei suoi versi ci rimangono, nè migliori nè peggiori di quelli che in quel tempo rimava la scuola siciliana.

In un sol luogo, fra tanti lamenti di un amore retorico, si ascolta quasi un rimpianto della libertà perduta:

Va, canzonetta mia
     E saluta Messere.
     Dilli lo mal ch’io aggio.
     Quegli che m’ha in balìa
     Sì distretto mi tiene
     Ch’io viver non potraggio.
     Salutami Toscana
     Quella ched’è sovrana
     In cui regna tutta cortesia:
     E vanne in Puglia piana,
     Lamagna, Capitana,
     Là dove lo mio core è notte e dia!


E così poetando dolorosamente, meditando forse con amarezza il verso in cui diceva “Tempo viene chi sale e chi discende”, morì prima di toccare i quarant’anni e dopo aver visto la rovina della sua famiglia.

Alla Fossalta i guelfi vinsero i ghibellini; i Bolognesi vinsero i Modenesi e di tutto quel triste pas-