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Per una guida 65

di San Benedetto. Mal desti, ci pareva di sentire ancora la frenetica ridda dei ballerini sulla nostra testa, ed i riflessi rossi delle carbonaie accese che rompevano qua e là il buio con un bagliore fantastico e misterioso, avevano molto dei sogni cupi che si fanno spesso quando lo stomaco pesa troppo. Queste sono le miglia più antipatiche in una escursione, quando le membra intorpidite chieggono ancora ristoro di sonno e servono per forza. Vengono allora delle vigliacche tentazioni di tornare indietro, che sono ribellioni della pigrizia contro la volontà; vengono certe irritazioni nervose che paiono figlie dell’energia e sono invece dello scoraggiamento, e non c’è che un rimedio: il cognac generoso a dose alta.

Camminare la notte nei monti deserti per sentieri da capre e non conosciuti, fa sempre una profonda impressione. Si cammina nell’oscurità e nell’ignoto. Qualche volta la guida vi fa fare un salto nel buio, ma non metaforicamente; fisicamente e sul serio. Si va senza sapere quel che ci sia a destra ed a sinistra, o tutt’al più sapendo che sotto quei monti c’è il borro del Forcone, il fosso del Giorgio, o il fosso di San Godenzo, nei quali si può precipitare dall’altezza di qualche diecina di metri; e qualche volta si ha una improvvisa sensazione del vuoto che vi fa allargare le braccia o mettere le mani avanti come se in verità cadeste. Le scarpe ferrate risuonano sulle roccie nude e nel silenzio; poi si cammina sull’erba soffice, sui muschi che paiono velluto, senza alcun rumore. V’accorgete di