Pagina:Guglielminetti - La porta della gioia, Milano, Vitagliano, 1920.djvu/113

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la fiaccola dell’illusione

nella forma più corretta e meno grave, senza rimpianti senza rimproveri, senza vane parole, senza drammi, insomma. Io odio tutto ciò che è scena, che è ostentazione di sentimenti; e in amore mi piace semplificare tutto, specialmente la rottura che è sempre lo spaventoso scoglio delle passioni e delle avventure che finiscono.

— L’idea di scegliere per questo scopo la mia casa, il mio salotto, la mia presenza è d’una sottigliezza che mi sfugge.

— Difatti è sottile e perfida, ma non manca di un certo geniale cinismo. È il mio sistema. Io scelgo generalmente per l’ultimo addio di un amore che tramonta la vicinanza consolatrice di un amore che sorge. È scettico ed è romantico insieme. La fiaccola della mia illusione passa così da una mano all’altra senza spegnersi. Vi avverto però che le persone designate agiscono sempre nella più perfetta incoscenza e che questo è l’unico caso in cui, per espressa volontà vostra e non per mia fatua e colpevole millanteria, una delle due attrici conosce la propria parte ed anche quella dell’altra.

— Ma non ne conosco il nome finora.

— La vedrete in persona fra cinque minuti.

— Dove sono le lettere?

— Eccole qui, racchiuse onestamente in un libro, un romanzo di Farrère ch’io restituirò con molti ringraziamenti alla signora. Ammetterete,

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