Pagina:Guglielminetti - La porta della gioia, Milano, Vitagliano, 1920.djvu/142

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amalia guglielminetti

bosco leggendario e chiuso in fondo da uno stagno pieno di ninfee, nel quale si specchiava con malinconia una corona di salici piangenti.

La giovine signora ne aveva compiuto il giro una volta sola, il domani del suo arrivo, appoggiata al braccio del marito, e le era piombata sul cuore d’improvviso una così nera tristezza che aveva promesso a sè stessa di non ritornarvi mai più.

Ella non possedeva uno spirito romantico, ma una piccola anima semplice e chiara, facile agli sgomenti, e dove le prime impressioni resistevano con insospettata tenacia.

— Perchè non hai chiamata questa casa la Villa dei Salici piangenti? — ella diceva qualche volta con un sorrisetto un po’ ironico a suo marito; — sarebbe stato più giusto, avrebbe espresso con maggiore franchezza la verità.

— Quale verità? La materiale o la morale?

— Non vi sono distinzioni, credo. Lo stagno laggiù, in fondo al giardino, non è circondato da una malinconica fila di salici piangenti?

— No, no, — concluse un giorno dopo una lunga pausa Massimiliano, aiquanto spazientito. — Io so perfettamente che cosa nascondono queste tue parole. Se tu fossi sincera come lo sono io e come io ti vorrei, mi diresti semplicemente così: «Marito mio, questa tua casa è molto grande, non è brutta ed è discretamente

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