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amalia guglielminetti |
a te. Da quasi venticinque anni non ritornavo quassù, ed auguriamoci di non doverci rtornare almeno per altri venticinque anni.
— Chi sà? — dubitò Luciana sollevando le spatle con atto ambiguo, tra serio e sorridente. — Chi sà?
Entrò in quel punto la cameriera portando la posta, la quale arrivava lassù a tarda sera, portata ancora dall’antica diligenza che Luciana chiamava «la negligenza», perchè era una vecchia carrozza sgangherata, trascinata da due magri ronzini e giungeva a destinazione quando voleva e come poteva.
La signora Magda lesse in silenzio una lettera di suo marito che la esortava a trattenersi per un altro mese a Belprato, commentò con un sorriso alcune cartoline illustrate di amiche e d’amici fra cui una di Santandrei che mandava un saluto da Villa d’Este, e s’immerse nella lettura di un giornale. Luciana andò quasi subito a letto ma non riuscì a pigliar sonno e s’addormentò soltanto quando i galli mattutini intonavano il loro inno all’aurora.
S’alzò a tarda mattina e trovò sul davanzale della sua finestra che sporgeva sul giardino un mazzo di ciclami di selva, di color cupo e di profumo acutissimo, giunto lassù dal basso, diretto da una mano sicura e da un abile gesto di lancio.
Ella bacio i piccoli fiori selvaggi che le re-
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