Pagina:Guglielminetti - La porta della gioia, Milano, Vitagliano, 1920.djvu/75

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l’erede

tino dinanzi all’altare della Cappella gentilizia tutta parata a festa per l’occasione, accompagnandovi una candida vergine ventenne, vestita di bianco, incoronata di fiori d’arancio, tiepida come una colombella spaurita, e vi pronunciasse il sacramentale che doveva legarli l’uno all’altra per tutto il resto della loro vita.

Subito dopo, toccati appena i cibi rarissimi e i vini delicati d’una sontuosa colazione gli sposi si diressero alla stazione accompagnati dal conte Ciro, il quale li abbracciò raggiante di letizia, e con molti saggi consigli, li collocò paternamente nel treno di lusso diretto a Parigi.

Quindi se ne ritornò lietamente a casa sua pensando con parecchi sospiri di sollievo, che l’eredità del suo sangue, del suo nome e delle sue sostanze era ormai assicurata.

Senonchè trascorsi due mesi e mezzo, quando la coppia tornò dal suo viaggio di nozze, questa certezza non pareva ancora sul punto d’avverarsi ed il conte Anselmo lo diceva col suo solito sogghigno falsamente motteggiatore, mentre Doretta nella camera accanto cantarellava aiutando la cameriera a disfare i bauli.

Il conte Ciro, sdraiato in una poltrona, la ascoltava con tenerezza e pensava che ella non poteva certamente mancare alla sua missione di madre.

Egli la vedeva passare e ripassare nel vano della porta spalancata, con la bella persona

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