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Pagina:Guicciardini, Francesco – Dialogo e discorsi del reggimento di Firenze, 1932 – BEIC 1843020.djvu/11

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proemio 5


tranquillamente nella sua villa quivi vicina. Né potrei facilmente dire quale fussi maggiore in mio padre, o el piacere che e’ pigliava dalla memoria di questo ragionamento, che certo era grandissimo, o el dispiacere di considerare lo infelice fine che ebbe Bernardo. El quale essendo si savio, ed avendo quasi come uno oraculo previsto tante cose che poi seguirono, 0 fussi per lo sdegno di qualche ingiuria che nello stato del popolo gli fu fatta, e massime per le molto disoneste gravezze che gli furono poste; o perché disperato che la cittá, che allora era ridotta in grandissime divisione e confusione, si potesse ndurre a uno governo bene ordinato, tornassi con l’animo a’ pensieri di quel vivere nel quale insino da fanciullo era nutrito e che molto era stato amato da lui; o fussi pure perché al fato non si può resistere, non seppe o non potette serrare tanto gli orecchi a chi gli manifestò pratiche che andavano a torno di rimettere Piero de’ Medici, che, non come autore o consultore di cose simili, ma come non rivelatore, fu decapitato.

Ma ritornando al nostro proposito, non mi pare anche Potere essere notato come ingrato, se bene io abbia le grandissime anzi estraordinarie obligazione alla casa de’ Medici, perché dua pontefici di quella casa, Leone prima e poi Clemente, mi hanno adoperato ed onorato eccessivamente, come persona in chi hanno avuto, ed ha piú che mai Clemente, somma confidenzia. Alle quali obligazione non pare che si convenga nutrire pensieri contrari allo stato della casa loro; perché dallo scrivere mio, massime fatto per mio piacere e recreazione né con intenzione di publicarlo, non si può né debbe inferirne che io abbia animo alieno dalla grandezza loro, né che la loro autoritá mi dispiaccia. Se giá per la medesima ragione non vogliamo arguire che a Zenofonte, cittadino ateniese ed amatore come si debbe credere della sua patria, per avere sotto nome di Ciro [scritto] del principato, dispiacessi la libertá di Atene; o che Aristotele, precettore e tanto ubligato a Alessandro Magno, per avere scritto la Politica fussi inimico suo.