Pagina:Guicciardini, Francesco – Storia d'Italia, Vol. I, 1929 – BEIC 1845433.djvu/233

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libro terzo — cap. iv 227

agli strani che cedere a’ suoi medesimi. E come potersi credere che ’l duca di Milano, solito a permettere tanto di sé ora alla cupiditá e alla speranza ora al timore, e movendolo al presente non meno lo sdegno che l’emulazione che ne’ viniziani si trasferisse quella preda che avea con tante arti procurata per sé, non fusse piú presto per conturbare di nuovo Italia che sopportare che Pisa fusse occupata da loro? E benché con le parole e consigli suoi dimostrasse altrimenti, potersi molto agevolmente comprendere non essere questa la veritá del cuore suo ma insidie, e per fini non sinceri artificiosi consigli: in compagnia del quale essere prudenza il sostentare quella cittá, se non per altro, per interrompere che i pisani non si dessino a lui; ma farsi propria questa causa e tirare addosso a sé tanta invidia e tanto peso non essere savio consiglio. Doversi considerare quanto fussino contrari questi pensieri dall’opere nelle quali si erano affaticati tanti mesi, e continuamente s’affaticavano; perché non altre cagioni avere mosso quel senato a pigliare l’armi, con tante spese e pericoli, che ’l desiderio d’assicurare sé e tutta Italia, da’ barbari: a che avendo con sí gloriosi successi dato principio, e nondimeno essendo appena il re di Francia ripassato di lá da’ monti, e tenendosi ancora per cui con uno esercito potente la maggiore parte del regno di Napoli, che imprudenza che infamia sarebbe, quando era il tempo di stabilire la libertá e la sicurtá d’Italia, spargere semi di nuovi travagli! che potrebbeno facilitare al re di Francia il ritornarvi, o al re de’ romani l’entrarvi, che forse, come era noto a ciascuno, non avea, per quello che pretendeva contro allo stato loro, maggiore e piú ardente desiderio di questo. Non essere la republica veneta in grado che fusse costretta ad abbracciare consigli pericolosi o farsi incontro alle occasioni immature, anzi niuno in Italia potere piú aspettare l’opportunitá de’ tempi e la maturitá delle occasioni. Perché le deliberazioni precipitose o dubbie convenivano a chi aveva difficili o sinistre condizioni, o a chi stimolato dalla ambizione e dalla cupiditá di fare illustre il nome suo temeva non gli mancasse il tempo, non a quella