Pagina:Guicciardini, Francesco – Storia d'Italia, Vol. I, 1929 – BEIC 1845433.djvu/399

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libro quarto — cap. xiv 393

infinita moltitudine a vedere uno principe, poco fa di tanta grandezza e maestá e per la sua felicitá invidiato da molti, ora caduto in tanta miseria; donde, non ottenuta grazia di essere, come sommamente desiderava, intromesso al cospetto del re, fu dopo due dí menato nella torre di Locces, nella quale stette circa dieci anni, e insino alla fine della vita, prigione: rinchiudendosi in una angusta carcere i pensieri e l’ambizione di colui che prima appena capivano i termini di tutta Italia. Principe certamente eccellentissimo per eloquenza per ingegno e per molti ornamenti dell’animo e della natura, e degno di ottenere nome di mansueto e di clemente, se non avesse imbrattata questa laude la infamia per la morte del nipote; ma da altra parte di ingegno vano e pieno di pensieri inquieti e ambiziosi, e disprezzatore delle sue promesse e della sua fede; e tanto presumendo del sapere di se medesimo che, ricevendo somma molestia che e’ fusse celebrata la prudenza e il consiglio degli altri, si persuadesse di potere con la industria e arti sue volgere dovunque gli paresse i concetti di ciascuno.

Seguitollo non molto poi il cardinale Ascanio; il quale, ricevuto con maggiore umanitá e onore, e visitato benignamente dal cardinale di Roano, fu mandato in carcere piú onorata, perché fu messo nella torre di Borges, stata prigione pochi anni innanzi del medesimo re che ora lo incarcerava: tanto è varia e miserabile la sorte umana, e tanto incerte a ognuno ne’ tempi futuri le proprie condizioni.