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88 storia d'italia

l’armi concitato con maggiore impeto perché Paolo Orsini co’ suoi uomini d’arme, chiamato da Piero, s’approssimava: donde egli, che giá alle sue case ritornato era, perduto d’animo e di consiglio, e inteso che la signoria l’aveva dichiarato rebelle, si fuggí con grandissima celeritá di Firenze, seguitandolo Giovanni cardinale della Chiesa romana e Giuliano suoi fratelli, a’ quali similmente furono imposte le pene ordinate contro a i rebelli; e se ne andò a Bologna. Ove Giovanni Bentivogli, desiderando in altrui quel vigore di animo il quale non rappresentò poi nelle sue avversitá, mordacemente nel primo congresso lo riprese che, in pregiudicio non solo proprio ma non meno per rispetto dell’esempio di tutti quegli che opprimevano la libertá delle loro patrie, avesse cosí vilmente e senza la morte di uno uomo solo abbandonata tanta grandezza. In questo modo, per la temeritá di uno giovane, cadde per allora la famiglia de’ Medici di quella potenza la quale, sotto nome e con dimostrazioni quasi civili, aveva, sessanta anni continui, ottenuta in Firenze: cominciata in Cosimo suo bisavolo, cittadino di singolare prudenza e di ricchezze inestimabili e però celebratissimo per tutte le parti della Europa, e molto piú perché con ammirabile magnificenza e con animo veramente regio, avendo piú rispetto alla eternitá del nome suo che alla comoditá de’ discendenti, spese piú di quattrocentomila ducati in fabriche di chiese di monasteri e d’altri superbissimi edifici, non solo nella patria ma in molte parti del mondo; del quale Lorenzo nipote, grande di ingegno e di eccellente consiglio, né di generositá dell’animo minore dell’avolo, e nel governo della republica di piú assoluta autoritá, benché inferiore assai di ricchezze e di vita molto piú breve, fu in grande estimazione per tutta Italia e appresso a molti príncipi forestieri, la quale dopo la morte si convertí in memoria molto chiara, parendo che insieme con la sua vita la concordia e la felicitá d’Italia fussino mancate.

Ma il dí medesimo nel quale si mutò lo stato di Firenze, essendo Carlo nella cittá di Pisa, i pisani ricorsono a lui popolarmente a domandare la libertá, querelandosi gravemente