Pagina:Guicciardini, Francesco – Storia d'Italia, Vol. II, 1929 – BEIC 1846262.djvu/247

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libro settimo ‐ cap. xiii 241

cosa né il Triulzio né il presidente volendo consentire, anzi lamentandosi gravemente che non che altro non volessino aspettare la risposta del re, e protestando il presidente che la impresa comune non si doveva finire se non comunemente, e del poco rispetto alla amicizia e congiunzione, non restorono i veneti per questo di non conchiudere; contraendo Massimiliano e loro, in nomi loro propri semplicemente, e con patto che per la parte di Massimiliano si nominassino e avessinsi per inclusi e nominati il pontefice, i re cattolici, di Inghilterra e di Ungheria e tutti i príncipi e sudditi del sacro imperio in qualunque luogo, e tutti i confederati di Massimiliano e de’ prenominati re e stati dello imperio, da nominarsi infra tre mesi; e per la parte de’ viniziani, il re di Francia e il re cattolico, e tutti gli amici e confederati de’ viniziani del re di Francia e del cattolico, in Italia solamente costituti, da nominarsi infra tre mesi. La quale tregua, stipulata il vigesimo dí di aprile, essendo stata quasi incontinente ratificata dal re de’ romani e da’ viniziani, si deposono l’armi tra loro, con speranza di molti che Italia avesse a godere per qualche tempo questa quiete.


XIII

Lamentele del re di Francia co’ fiorentini e risposta di questi. Pratica fra il re di Francia, Ferdinando d’Aragona e i fiorentini riguardo a Pisa.

Posate che furono l’armi per la tregua fatta, il re di Francia, parendogli che l’animo de’ fiorentini non fusse stato sincero verso lui, ma piú tosto inclinati a Cesare se alle cose sue si fusse dimostrato principio di prosperi successi, e sapendo non procedere da altro che dal desiderio di recuperare in qualunque modo Pisa, e dallo sdegno che egli, non attendendo né alla divozione né alle opere loro, non solo non gli avesse favoriti né con l’autoritá né coll’armi ma tollerato che da’ genovesi sudditi suoi fussino aiutati, deliberò di pensare che con