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essendo sopravenuto ed esercitandosi maravigliosamente la persona del duca, peritissimo e nel fabbricare e nell’usare l’artiglierie. Per i quali colpi tutti i legni inimici, con tutto che essi similmente non cessassino di tirare (ma invano, perché quegli che erano in sulla ripa erano coperti dall’argine), con vari e spaventosi casi si consumavano: alcuni de’ quali non potendo piú reggere a’ colpi si arrendevano; alcuni altri, appresovi il fuoco per i colpi dell’artiglierie, miserabilmente ardevano con gli uomini che vi erano dentro; altri, per non venire in mano degli inimici, messe insieme molte navi e gittandovi fuoco, si precipitavano da se medesimi in quella crudeltá che da altri temevano. Il capitano dell’armata, montato quasi al principio dell’assalto in su una scafa, fuggendo si salvò; la sua galea, fuggita per spazio di tre miglia, al continuo tirando e difendendo e provedendo alle percosse riceveva, all’ultimo tutta forata andò nel fondo. Finalmente, essendo pieno ogni cosa di sangue di fuoco e di morti, vennono in potestá del duca quindici galee, alcune navi grosse, fuste, barbotte e altri legni minori, quasi senza numero; morti circa dumila uomini o dall’artiglierie o dal fuoco o dal fiume, prese sessanta bandiere, ma non lo stendardo principale che si salvò col capitano; molti fuggiti in terra, de’ quali parte raccolti da’ cavalli leggieri de’ viniziani si salvorono, parte seguitati dagli inimici furno presi, parte riceverono nel fuggirsi vari danni da’ paesani. Furono i legni presi condotti a Ferrara, ove per memoria della vittoria acquistata si conservorno molti anni; insino a tanto che Alfonso desideroso di gratificare al senato viniziano li concedé loro. Rotta l’armata, mandò subito Alfonso trecento cavalli e cinquecento fanti per rompere l’altra armata che aveva preso Comacchio; i quali, avendo recuperato Loreto fortificato da i viniziani, si crede che arebbono rotta l’armata se quella, conosciuto il pericolo, non si fusse ritirata alle Bebie. Questo fine ebbe in spazio di uno mese l’assalto di Ferrara; nel quale lo evento, che spesso è giudice non imperito delle cose, manifestò quanto fusse piú prudente il consiglio de’ pochi che confortavano che, lasciate l’altre im-