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comune differire qualche poco per farlo con migliore occasione che, per restituirlo di presente, facilitare al Valentino l’occupare Siena; e cosí non negando ma prolungando si ingegnava che i fiorentini accettassino la speranza per effetto: le quali scuse, rifiutate da essi, erano per opera di Francesco da Narni, fermatosi per comandamento del re in Siena, accettate e credute nella corte di Francia.

Ma non era l’intenzione del pontefice e di Valentino di mettere mano a queste imprese se non quanto dessino loro animo i progressi dell’esercito che si preparava dal re di Francia, e secondo che da essi fusse deliberato dell’aderirsi piú all’uno re che all’altro: sopra che si facevano per essi in questo tempo vari pensieri, differendo quanto potevano il dichiarare la mente sua, non inclinata, se non quanto il timore fusse per costrignergli, al re di Francia, perché l’esperienza veduta nelle cose di Bologna e di Toscana gli privava di speranza di fare col favore suo maggiori acquisti. Perciò avevano cominciato, innanzi alla vittoria degli spagnuoli, ad alienarsi con la volontá ogni dí piú da lui, e dopo la vittoria, preso maggiore animo, non avevano piú il rispetto solito alla volontá e autoritá sua; e ancora che avessino, subito dopo le rotte de’ franzesi, affermato di volere seguitare la parte del re di Francia e fatto dimostrazione di soldare genti per mandarle ne reame, nondimeno tirati dalla cupiditá di nuovi acquisti, né potendo levare gli occhi né rimuovere l’animo dalla Toscana, ricercandogli il re che si dichiarassino apertamente per lui, rispondeva il pontefice con tale ambiguitá che ogni dí diventava piú sospetto, il figliuolo ed egli; la simulazione e dissimulazione de’ quali era tanto nota nella corte di Roma che n’era nato comune proverbio che ’l papa non faceva mai quello che diceva e il Valentino non diceva mai quello che faceva. Né era ancora finita la contenzione loro con Giangiordano. Perché se bene il Valentino, temendo la indegnazione del re, si fusse, quando ricevé il comandamento suo, astenuto da molestarlo, nondimeno il pontefice, dimostrandone dispiacenza grandissima, non avea mai cessato di fare instanza col re che