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Adriano e il cardinale del Finale apertamente affermavano non essere stato fatto con loro mandato né di loro consentimento. Però, non si manifestando in questa cosa piú di sei cardinali, il Pontefice, sperando potergli fare volontariamente desistere da questa insania, trattava continuamente con loro, offerendo venia delle cose commesse e con tale sicurtá che e’ non avessino da temere di essere offesi; cose che i cardinali udivano simulatamente. Ma non per questo cessava da’ rimedi piú potenti; anzi per consiglio, secondo si disse, proposto da Antonio del Monte a San Sovino, uno de’ cardinali creati ultimatamente a Ravenna, volendo purgare la negligenza, intimò il concilio universale, per il primo dí di maggio prossimo, nella cittá di Roma nella chiesa di San Giovanni Laterano: per la quale convocazione pretendeva avere dissoluto il concilio convocato dagli avversari, e che nel concilio inditto da lui si fusse trasferita giuridicamente la potestá e l’autoritá di tutti; non ostante che i cardinali allegassino che, se bene questo fusse stato vero da principio, nondimeno, poiché essi avevano prevenuto, dovere avere luogo il concilio convocato e intimato da loro. Publicato il concilio, confidando giá piú delle ragioni sue, e disperandosi di potere riconciliarsi il cardinale di Santa Croce, il quale, per ambizione di essere pontefice, era stato in grande parte autore di questo moto, e il medesimo di San Malò, e di quello di Cosenza (perché degli altri non aveva ancora perduta la speranza di ridurgli sotto l’ubbidienza sua), publicò contro a quegli tre uno monitorio, sotto pena di privazione della degnitá del cardinalato e di tutti i benefici ecclesiastici se infra sessantacinque dí non si presentassino innanzi a lui: alla quale cosa perché piú facilmente si disponessino, il collegio de’ cardinali mandò a loro uno auditore di ruota, a invitargli e pregargli che, deposte le private contenzioni, ritornassino all’unione della Chiesa, offerendo di fare concedere qualunque sicurtá desiderassino.

Nel quale tempo medesimo, o essendo ambiguo e irrisoluto nell’animo o movendolo altra cagione, udiva continuamente la pratica della pace col re di Francia, la quale appresso