Pagina:Guicciardini, Francesco – Storia d'Italia, Vol. III, 1929 – BEIC 1846967.djvu/151

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libro decimo - cap. vii 145

moverebbono: simile officio, e per simili cagioni, faceva il re di Inghilterra; il quale aveva risposto all’oratore del re di Francia non essere vero che avesse consentito alla lega fatta a Roma, e che era disposto di conservare la confederazione fatta con lui: e nel tempo medesimo il vescovo di Tivoli proponeva in nome del pontefice la pace, purché il re non favorisse piú il concilio e si rimovesse dalla protezione di Bologna; offerendo d’assicurarlo che il pontefice non tenterebbe poi cose nuove contro a lui. Dispiaceva meno al re la pace, eziandio con inique condizioni, che il sottomettersi a’ pericoli della guerra e alle spese che, avendo a resistere agli inimici e a sostentare Cesare, si dimostravano quasi infinite: nondimeno lo moveva lo sdegno di essere quasi sforzato dal re d’Aragona col terrore dell’armi a fare questo; il potersi molto difficilmente assicurare che il papa, ricuperata Bologna e liberato dal timore del concilio, osservasse la pace; e il dubbio che, quando pure si dimostrasse apparecchiato a consentire alle condizioni proposte, il pontefice non se ne ritraesse, come altre volte avea fatto: onde, offesa la sua degnitá e la riputazione diminuita, Cesare si riputasse ingiuriato che, lasciato lui nella guerra co’ viniziani, avesse voluto conchiudere la pace per sé solo. Però rispose precisamente al vescovo di Tivoli non volere consentire che Bologna stesse sotto la Chiesa se non nel modo che anticamente soleva stare; e nel tempo medesimo, per fare ferma determinazione con Cesare, che era a Brunech terra non molto distante da Trento, mandò a lui con ampie offerte e con celeritá grandissima Andrea de Burgo cremonese, oratore cesareo appresso a sé: nel qual tempo alcuni de’ suoi sudditi del contado di Tiruolo occuporno Butisten, castello molto forte all’entrata di Valdicaldora.