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Tormentava oltre a questo molto l’animo del re il timore de’ svizzeri; perché, con tutto che avesse ottenuto di mandare alle diete loro il baglí d’Amiens al quale aveva dato amplissime commissioni, risoluto con prudente consiglio (se prudenti si possono chiamare quelle deliberazioni che si fanno passata giá l’opportunitá del giovare) di spendere qualunque quantitá di danari per ridurgli alla sua amicizia, nondimeno, prevalendo l’odio ardentissimo della plebe e le persuasioni efficaci del cardinale sedunense alla autoritá di quegli che avevano, di dieta in dieta, impedito che non si facesse deliberazione contraria a lui, si sentiva erano inclinati a concedere semila fanti agli stipendi de’ confederati, i quali gli dimandavano per potergli opporre agli squadroni ordinati e stabili de’ fanti tedeschi.

Trovavasi inoltre il re privato interamente delle speranze della corcordia; la quale, benché nel fervore dell’armi, non avevano mai omesso di trattare il cardinale di Nantes e il cardinale di Strigonia, prelato potentissimo del reame dell’Ungheria: perché il pontefice aveva ultimatamente risposto, procurassino, se volevano gli udisse piú, che prima fusse annullato il conciliabolo pisano, e che alla Chiesa fussino rendute le cittá sue, Bologna e Ferrara; né mostrando ne’ fatti minore asprezza, aveva di nuovo privato molti de’ prelati franzesi intervenuti a quello concilio, e Filippo Decio uno de’ piú eccellenti giurisconsulti di quella etá, perché aveva scritto e disputato per la giustizia di quella causa, e seguitava i cardinali per indirizzare le cose che s’avevano a spedire giuridicamente.

Né aveva il re, nelle difficoltá e pericoli che se gli mostravano da tanti luoghi, piede alcuno fermo o certo in parte alcuna di Italia: perché gli stati di Ferrara e di Bologna gli erano stati ed erano di molestia e di spesa, e da’ fiorentini, co’ quali faceva nuova instanza che in compagnia sua rompessino la guerra in Romagna, non poteva trarre altro che risposte generali; anzi aveva dell’animo loro qualche sospetto, perché in Firenze risedeva continuamente uno oratore del viceré di Napoli, e molto piú per avere mandato l’oratore al re cattolico, e perché non comunicavano piú seco le cose loro come