Pagina:Guicciardini, Francesco – Storia d'Italia, Vol. III, 1929 – BEIC 1846967.djvu/201

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libro decimo - cap. xiv 195

Federigo da San Severino: però, ogn’altra cosa essere migliore che con tanta indignitá e con tanta infamia mettersi, sotto nome di pace, in acerbissima e infedelissima servitú, perché non cesserebbeno mai quegli scismatici di perseguitare la degnitá e la vita sua; essere molto minore male, quando pure non si potesse fare altrimenti, abbandonare Roma e ridursi con tutta la corte o nel reame di Napoli o a Vinegia, dove starebbe con la medesima sicurtá e onore e con la medesima grandezza; perché con la perdita di Roma non si perdeva il pontificato, annesso sempre in qualunque luogo alla persona del pontefice: ritenesse pure la solita costanza e magnanimitá; perché Dio, scrutatore de’ cuori degli uomini, non mancherebbe d’aiutare il santissimo proposito suo né abbandonerebbe la navicella di Pietro, solita a essere vessata dalle onde del mare ma non giammai a sommergersi; e i príncipi cristiani, concitati dal zelo della religione e dal timore della troppa grandezza del re di Francia, piglierebbeno con tutte le forze e con le persone proprie la sua difesa. Le quali cose udiva il pontefice con somma ambiguitá e sospensione, e in modo che si potesse facilmente comprendere, combattere in lui da una parte l’odio lo sdegno e la pertinacia insolita a essere vinta o a piegarsi, dall’altra il pericolo e il timore; e si comprendeva anche, per le risposte faceva agl’imbasciadori, non gli essere tanto molesto lo abbandonare Roma quanto il non potere ridursi in luogo alcuno dove non fusse in potestá d’altri: però rispondeva a’ cardinali volere la pace, consentendo si ricercassino i fiorentini che se ne interponessino col re di Francia, e nondimeno non ne rispondeva con tale risoluzione né con parole tanto aperte che facessino piena fede della sua intenzione; aveva fatto venire da Civitavecchia il Biascia genovese, capitano delle sue galee, onde si interpetrava che e’ pensasse a partirsi da Roma, e poco di poi l’aveva licenziato; ragionava di soldare quegli baroni romani che non erano nella congiura con gli altri, udiva volentieri i conforti de’ due imbasciadori ma rispondendo il piú delle volte parole contumeliose e piene di sdegno. Nel qual tempo sopravenne Giulio