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libro duodecimo - cap. xx | 385 |
XX
In questi pensieri costituito il re, e giá deliberando di non differire il muovere dell’armi, fu necessitato per nuovi accidenti a volgere l’animo alla difesa propria: perché Cesare, ricevuti, secondo le cose cominciate a trattarsi prima col re d’Aragona, centoventimila ducati, si preparava per assaltare, come aveva convenuto con quel re, il ducato di Milano, soccorse che avesse Verona e Brescia. Perché i viniziani, fermato l’esercito, il quale, essendo ritornato il Triulzio a Milano, reggeva Teodoro da Triulzi fatto governatore, sei miglia presso a Brescia, scorrevano cogli stradiotti tutto il paese: i quali, assaltati uno dí da quegli di dentro, e concorrendo da ciascuna delle parti aiuto a’ suoi, gli rimessono dopo non piccola zuffa in Brescia, ammazzatine molti di loro e preso il fratello del governatore della cittá. Pochi dí appresso, Lautrech, principale dell’esercito franzese, e Teodoro da Triulzi, sentito che a Brescia venivano tremila fanti tedeschi per accompagnare i danari che si conducevano per pagare i soldati, mandorno per impedire loro il passare Gianus Fregoso e Giancurrado Orsino, con genti dell’uno e l’altro esercito, alla rocca d’Anfo; le quali n’ammazzorno circa ottocento, gli altri insieme co’ danari si rifuggirno a Lodrone. Mandorno di poi i viniziani in Val di Sabia dumila cinquecento fanti per fortificare il castello di Anfo, i quali abbruciorno Lodrone e Astorio.
Il pericolo che Brescia, cosí stretta e molestata, non si arrendesse costrinse Cesare ad accelerare la sua venuta; il quale, avendo seco cinquemila cavalli, quindicimila svizzeri datigli