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58 storia d'italia

il quale, non vi essendo venuto il marchese di Mantova, governava Fabrizio Colonna, lasciato a guardia di Modona il duca di Urbino, andasse a dirittura a Ferrara; dando a’ capitani, che unitamente dannavano questo consiglio, speranza quasi certa che il popolo tumultuerebbe. Ma il dí medesimo che si erano mossi ritornorono indietro per suo comandamento, non si sapendo quel che l’avesse indotto a sí subita mutazione; e lasciati i primi disegni, andorono a campo alla terra di Sassuolo, ove Ciamonte avea mandati cinquecento fanti guasconi: la quale avendo battuto due dí, con giubilo grande del pontefice, che sentiva della camera medesima il tuono delle artiglierie sue intorno a Sassuolo della quale aveva, pochi dí innanzi, sentito con gravissimo dispiacere il tuono di quelle degli inimici intorno a Spilimberto, gli dettono l’assalto, il quale con piccolissima difficoltá succedette felicemente, perché si disordinorono i fanti che vi erano dentro; e appresentate poi subito l’artiglierie alla fortezza dove si erano ritirati, e cominciata a batterla, si arrenderono quasi subito senza alcuno patto: con la medesima infamia e infelicitá di Giovanni da Casale (che era loro capitano) che avea sentita quando il Valentino occupò la rocca di Furlí; uomo di vilissima nazione, ma pervenuto a qualche grado onorato perché nel fiore della etá era stato grato a Lodovico Sforza, e poi famoso per l’amore noto di quella madonna. Espugnato Sassuolo, prese l’esercito Formigine; e volendo il pontefice che andassino a pigliare Montecchio, terra forte e importante situata tra la strada maestra e la montagna in sui confini di Parma e di Reggio, e che era tenuta dal duca di Ferrara ma parte del territorio di Parma, recusò Fabrizio Colonna, dicendo essergli proibito dal suo re il molestare le giurisdizioni dello imperio. Non provedeva a questi disordini Ciamonte; il quale, lasciato in Reggio Obigní con cinquecento lancie e con dumila fanti guasconi sotto il capitano Molard, si era fermato a Parma, avendo ricevute nuove commissioni dal re di astenersi dalle spese. Perché il re, perseverando nel proposito di temporeggiarsi insino alla primavera, non faceva allora per