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specialmente del cardinale di Volterra a cui pareva che il pontefice credesse molto, dimorava a Firenze, venne a Roma, ricevuto con grandissimo onore quasi da tutta la corte: ove, congiuntamente col duca di Sessa imbasciadore di Cesare e con gli oratori del re di Inghilterra, favoriva questa medesima causa appresso al pontefice.

Nel qual tempo la mala fortuna del cardinale di Volterra, che quasi sempre perturbava la prudenza l’astuzia e gli artifici suoi, partorí a lui danno e pericolo, e al cardinale de’ Medici facoltá di acquistare maggiore grazia e autoritá appresso al pontefice, inclinato prima molto al volterrano, perché con la sua sagacitá e con parole non meno nervose che ornate gli avea impresso nell’animo di essere molto desideroso della pace universale della cristianitá. Conciossiaché, essendo stato, per opera del duca di Sessa, ritenuto a Castelnuovo appresso a Roma Francesco Imperiale, sbandito di Sicilia che andava in Francia, gli furno trovate lettere scritte dal cardinale predetto al vescovo di Santes suo nipote, per le quali confortava il re di Francia ad assaltare con armata marittima l’isola di Sicilia, perché volgendosi l’armi di Cesare a difenderla gli sarebbe piú facile a ricuperare il ducato di Milano: della qual cosa maravigliandosi molto il pontefice e riputandosi ingannato dalle sue simulazioni, incitandolo ancora ardentemente il duca di Sessa e il cardinale de’ Medici, chiamatolo a sé lo fece custodire in Castel Sant’Angelo; e dipoi deputò giudici a esaminarlo come reo d’avere violato la maestá pontificale, concitando il re di Francia ad assaltare coll’armi la Sicilia feudo della sedia apostolica. Nella quale cognizione benché si procedesse lentamente, e finiti gli esamini gli fusse data facoltá di difendersi per avvocati e procuratori, non si procedé però con la medesima moderazione alla roba; perché, il dí stesso che il cardinale fu ritenuto, il pontefice occupò tutte le ricchezze che erano nella sua casa. Venne ancora a luce, per la incarcerazione del medesimo Imperiale, un trattato che per il re di Francia si teneva in Sicilia; per il quale furno squartati il conte di Camerata il maestro portulano e il tesoriere di quella isola.