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vittoria, perché né di forze si riputavano inferiori agli inimici e di animo sarebbono molto superiori; non potendo essere che la ritirata non avesse messo timiditá grande nella maggiore parte di quello esercito, della quale molti fanti italiani, che all’ora medesima si partivano, riferivano il medesimo. Ricordavangli la gloria infinita, la perpetuazione eterna del nome suo, se tante vittorie giá acquistate confermasse con questa ultima gloria e trionfo. Ma nell’animo di Prospero era sempre fisso di fuggire quanto poteva di sottomettersi all’arbitrio della fortuna; e perciò, immobile nella sua sentenza non altrimenti che uno edificio solidissimo al soffiare de’ venti, rispondeva non essere ufficio di savio capitano lasciarsi muovere dalle voci popolari, non menare i soldati suoi ad assaltare gli inimici quando niuna altra speranza restava loro che difendersi. Assai essersi vinto, assai gloria acquistata, avendo senza pericolo e senza sangue costretto gli inimici a partirsi; né dovere essere infinita la cupiditá degli uomini, e potere ciascuno facilmente conoscere che senza comparazione maggiore sarebbe la perdita se le cose succedessino sinistramente che il guadagno se le succedessino prosperamente. Avere sempre con queste arti condotte a onorato fine le cose sue, sempre per esperienza conosciuto piú nuocere a’ capitani la infamia della temeritá che giovargli la gloria della vittoria: perché in parte di quella non veniva alcuno, tutta e intera s’attribuiva al capitano; ma la laude de’ successi prosperi della guerra, almeno secondo la opinione degli uomini, comunicarsi a molti. Non volere, quando era giá vicino alla morte, andare dietro a nuovi consigli, né abbandonare quegli i quali, seguitati da lui per tutta la vita passata, gli aveano dato gloria utilitá e grandezza. Divisonsi i franzesi in due parti: l’ammiraglio con la parte maggiore si fermò a Biagrassa, terra distante da Milano quattordici miglia, gli altri mandò a Rosa distante da Milano sette miglia e, intra se medesime, miglia...