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libro quintodecimodecimo - cap. vii | 215 |
per mancamento di danari, né poteva sostentare tante forze quanto sarebbe stato necessario a tanta impresa né aveva, per la medesima cagione, potuto raccorre l’esercito se non quasi alla fine dell’anno, donde ne’ luoghi freddi la stagione dell’anno gli moltiplicava le difficoltá, impedivano la strettezza delle vettovaglie difficili a condursi per tanto cammino), fu costretto a dissolvere l’esercito, ragunato contro al consiglio quasi di tutti: tanto che Federigo di Tolleto duca di Alva, principe vecchio e di autoritá, diceva, nel fervore della guerra, Cesare, in molte cose simile al re Ferdinando avolo materno, rappresentare piú in questa deliberazione Massimiliano avolo paterno.
VII
Séguita l’anno mille cinquecento ventiquattro; nel principio del quale, invitando le difficoltá de’ franzesi i capitani cesarei a pensare di porre fine alla guerra, chiamorno a Milano il duca di Urbino e Pietro da Pesero proveditore viniziano, per consultare come s’avesse a procedere nella guerra: nel quale consiglio fu unitamente deliberato che, subito a Milano giugnessino seimila fanti tedeschi, i quali il viceré aveva mandato a soldare, l’esercito cesareo e de’ viniziani unito insieme si avvicinasse agli inimici per cacciargli, o coll’armi o colla fame, di quello stato. Alla qualcosa, giudicando avere forze sufficienti, niente altro repugnava che la difficoltá de’ danari; de’ quali dovendosi, per gli stipendi corsi, quantitá grande a’ soldati, non si sperava potergli fare muovere di Milano e dell’altre terre se prima non si pagavano; né manco era necessario, avendo a stare l’esercito alla campagna, provedere che per l’avvenire corressino ordinatamente di tempo