Pagina:Guicciardini, Francesco – Storia d'Italia, Vol. IV, 1929 – BEIC 1847812.djvu/239

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libro quintodecimodecimo - cap. x 233

animo, le parole medesime che nelle angustie sue disse il Salvatore: “lo spirito certamente è pronto, la carne inferma”. Voi avete il medesimo ardore che avete avuto sempre di conservarvi per signore Francesco Sforza; a lui trafiggono, come sempre, il cuore i pericoli e le calamitá del suo diletto popolo; egli è parato a mettere la vita propria per salvarvi, voi con non minore prontezza l’esporreste al presente che molte volte l’avete esposta per il passato. Ma alla volontá non corrispondono da parte alcuna le forze; perché per l’essere la cittá quasi vota d’abitatori, esserci strettezza di vettovaglie, mancamento di danari e i bastioni quasi per terra, non ci è modo di proibire che i franzesi non ci entrino. Duole al duca quanto la morte l’essere necessitato ad abbandonarvi, ma molto piú che la morte gli dorrebbe che il volervi difendere fusse cagione dell’ultimo eccidio vostro, come senza dubbio alcuno sarebbe. Ne’ mali tanto gravi è tenuto prudente chi elegge il male minore, chi non si dispera tanto che abbandoni con una sola deliberazione tutte le sue speranze. Però il duca vi conforta a cedere alla necessitá, che ubbidiate al re di Francia per riserbarvi a tempi migliori; i quali abbiamo grandissime cagioni di sperare che presto ritorneranno. Non abbandonerá il duca al presente se medesimo, non abbandonerá in futuro voi. La potenza di Cesare è grandissima, la fortuna inestimabile; la causa è giustissima, gli inimici sono quegli medesimi che tante volte sono stati vinti da noi. Risguarderá Iddio la pietá vostra verso il duca, la pietá del duca verso la patria; e dobbiamo tenere per certo che, permettendo ora a qualche buon fine quello a che ci costrigne la necessitá presente, ci dará presto contro all’inimico superbissimo vittoria tale che felicemente con lunga pace ci ristoreremo da tante molestie. — Dopo le quali parole, avendo fatto mettere vettovaglie in castello, si uscí della cittá. Andava e il duca a Milano, non sapendo quel che avesse fatto il Morone; ma a fatica uscito di Pavia, scontrò Ferrando Castriota che guidava l’artiglieria, dal quale avvertito che una grande parte degli inimici avea passato il Tesino, e che avendo scontrato in sul fiume Zucchero borgognone co’