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fatto tregua co’ franzesi per tempo di uno mese. E il Numaio: che nella giornata morirno in tutto seimila uomini1,

  1. [Non possiamo far a meno di riportare il lungo passo delle edizioni precedenti che è tanto diverso da quello dell’edizione Gherardi, e, quindi, dalla nostra: «sessanta braccia di muro; e entrati nel barco, la prima squadra andò alla volta di Mirabello, il resto dell’esercito alla volta del campo. Ma il re, intesa l’entrata nel barco, pensando andassino a Mirabello, uscí degli alloggiamenti per combattere in su la campagna aperta e spianata, desideroso si combattesse piú presto quivi che altrove, per la superioritá dei cavalli; ordinando nel medesimo tempo che l’artiglierie si volgessino verso gli inimici: le quali, battendoli per fianco, feciono qualche danno al retroguardo. Urtossi in questo mezzo ferocemente la battaglia imperiale con lo squadrone del re, che ordinariamente era la battaglia (ma, secondo camminavano gli spagnuoli, fu l’avanguardia); dove egli combattendo egregiamente sosteneva l’impeto degli inimici, da’ quali i suoi furono costretti, per il furore degli scoppietti, a piegare, insino a tanto che, sopravvenendo i svizzeri, gli spagnuoli furono ributtati da loro e dalla cavalleria, che gli assaltò per fianco. Ma chiamato dal marchese di Pescara il viceré, e sopragiugnendo coi fanti tedeschi, roppero facilmente e con molta uccisione i svizzeri: i quali non corrisposono quel giorno in parte alcuna al valore solito a dimostrarsi da loro nell’altre battaglie. Ed essendo il re con grande numero di genti d’arme nel mezzo della battaglia, e sforzandosi fermare i suoi, dopo avere combattuto molto, ammazzatogli il cavallo, ed egli benché leggiermente ferito nel volto e nella mano caduto in terra, fu preso da cinque soldati che non lo conoscevano; ma sopravvenendo il viceré, dandosi a conoscere, ed egli baciatoli con molta reverenza la mano, lo ricevé prigione in nome dell’imperadore.
     Nel qual tempo, il Guasto con la prima squadra aveva rotto i cavalli che erano a Mirabello: e il Leva, il quale, secondo dicono alcuni, aveva a questo effetto gittato in terra tanto spazio di muro che potevano uscirne in un tempo medesimo cento cinquanta cavalli, uscito di Pavia aveva assaltato i franzesi alle spalle; in modo che tutti si messono in fuga e quasi tutti svaligiati, eccetto il retroguardo de’ cavalli, il quale sotto Alanson nel principio della battaglia si ritirò intero. Fu constante opinione che in questa giornata morissino, tra di ferro e d’essere affogati, fuggendo, nel Tesino, piú di ottomila del campo franzese e circa venti de’ primi signori di Francia, tra’ quali l’Ammiraglio, Iacopo Cabaneo, la Palissa, la Tramoglia, il grande scudiere, Obigni, Boisi e lo Scudo, il quale pervenuto ferito in potestá degli inimici espirò presto. Furono fatti prigioni il re di Navarra, il bastardo di Savoia, Memoransi, San Polo, Brione, La Valle, Ciandé, Ambricort, Galeazzo Visconte, Federigo da Bozzole, Bernabò Visconte, Guidanes e infiniti gentiluomini, e quasi tutti i capitani che non furono ammazzati. Fu preso anche Ieronimo Leandro vescovo di Brindisi, nunzio del pontefice; ma per comandamento del viceré fu liberato. De’ quali prigioni, San Polo e Federigo da Bozzole, condotti nel castello di Pavia, non molto dipoi, corrotti gli spagnuoli che gli guardavano, si liberarono con la fuga. Degli imperiali morirono circa settecento, ma nessuno capitano eccetto Ferrando Castriota marchese di Santo Angelo; e la preda fu sí grande che mai furono in Italia soldati più ricchi. Il marchese di Pescara ebbe due ferite, e una di scoppio, e Antonio de Leva fu ferito leggiermente in una gamba» — Il Rostagno (Giunte e Correzioni; vol. I, cxc) fa seguire una nota in cui dice che il testo dell’edizione Gherardi «è stato ricostituito... su quello originale di VI, IV, 360— 364: riproduce i passi