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libro sestodecimo - cap. iv | 281 |
memoria di questo che non desideravano molti; i quali, conoscendo il pericolo che soprastava a tutti della grandezza di Cesare e che nissuno rimedio era piú salutifero che una unione molto sincera e molto pronta di tutta Italia, e che tutto dí potevano succedere o occasioni o necessitá di pigliare l’armi, arebbono giudicato essere meglio che il pontefice non esasperasse né mettesse in necessitá di gittarsi in braccio allo imperadore il duca di Ferrara, principe che, per la ricchezza per l’opportunitá del sito e per l’altre sue condizioni, era, in tempi tali, da tenerne molto conto; e che piú presto l’avesse abbracciato, e fatto ogni diligenza di levargli l’odio e la paura: se però il fare benefizio a chi si persuade avere ricevute tante ingiurie è bastante a cancellare degli animi, sí male disposti e inciprigniti, la memoria delle offese; massime quando il benefizio si fa in tempo che pare causato piú da necessitá che da volontá.
IV
Fatta la capitolazione, il pontefice, per non mancare degli offici convenienti verso tanto principe, mandò, con permissione del viceré, il vescovo di Pistoia a visitare e consolare in nome suo il re di Francia. Il quale, dopo le parole generali avute insieme presente il capitano Alarcone, e l’avere il re supplicato il pontefice che per lui facesse buono officio con Cesare, gli domandò con voce sommessa quel che fusse del duca di Albania; udendo con grandissima molestia la risposta, che risoluta una parte dell’esercito era con l’altra passato in Francia.
Convennono in questo tempo medesimo i lucchesi col viceré, il quale gli ricevé nella protezione di Cesare, di pagare