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libro tredicesimo - cap. xii 59

e molto piú per risolvere le cose del reame di Navarra, la restituzione del quale all’antico re, promessa nella concordia fatta a Noion, benché molto sollecitata dal re di Francia, era stata insino a quel dí differita dal re di Spagna con varie escusazioni: ma la morte del gran maestro, succeduta innanzi parlassino insieme, interroppe la speranza di questa andata.

Morí in questo tempo Lorenzo de’ Medici, oppressato da infermitá quasi continua da poi che, consumato con infelici auspici il matrimonio, era ritornato di Francia; perché, e pochissimi dí innanzi alla morte sua la moglie, avendo partorito, gli aveva morendo preparata la strada. Per la morte di Lorenzo, il pontefice, desideroso di tenere congiunta, mentre viveva, la potenza de’ fiorentini a quella della Chiesa, disprezzati i consigli di alcuni che lo consigliavano che, non restando piú, eccetto lui, alcuno de’ discendenti legittimi per linea mascolina di Cosimo de’ Medici fondatore di quella grandezza, restituisse alla sua patria la libertá, propose il cardinale de’ Medici alla amministrazione di quello stato; o per desiderio di perpetuare il nome della sua casa o per odio, causato per l’esilio, contro al nome della republica. E pensando che il ducato di Urbino si potesse difficilmente, per l’amore de’ popoli all’antico duca, tenere sotto nome della figliuola restata unica di Lorenzo compresa nella investitura paterna, lo restituí insieme con Pesero e Sinigaglia alla sedia apostolica: né parendogli che questo bastasse a raffrenare l’ardore de’ popoli, fece gittare in terra le mura della cittá di Urbino e degli altri luoghi principali del ducato, eccetto di Agobbio, alla quale cittá, per non essere, per la emulazione che aveva con la cittá di Urbino, tanto inclinata con l’animo a Francesco Maria, voltò favore e riputazione, costituendola come capo di quello ducato. Il quale per indebolire tanto piú, dette a’ fiorentini, in pagamento de’ danari spesi per lui nella guerra d’Urbino, de’ quali gli aveva fatti prima creditori in camera apostolica, la fortezza di Santo Leo con tutto il Montefeltro e il pivieri di Sestina, che soleva essere territorio di Cesena: contentandosi poco i fiorentini di questa sodisfazione ma non potendo opporsi alla sua volontá.