Pagina:Guicciardini, Francesco – Storia d'Italia, Vol. IV, 1929 – BEIC 1847812.djvu/99

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libro quartodecimo - cap. iii 93

natura de’ popoli desiderosi di cose nuove, e la inclinazione sí ardente, che hanno gli uomini, a liberarsi dalle molestie presenti che non considerano quel che succederá per l’avvenire.

La fama della guerra deliberata dal pontefice e da Cesare, con apparecchi tanto potenti, pervenuta agli orecchi del re di Francia lo costrinse a pensare di difendere, con non manco potenti provisioni, il ducato di Milano; delle quali la prima espedizione fu che Lautrech, andato per faccende particolari alla corte, ritornasse subito a Milano. Il quale, se bene, dubitando della varietá e della negligenza del re e di quegli che governavano, recusasse di partirsi se prima non gli erano numerati trecentomila ducati, i quali affermava bastargli a difendere quello stato, nondimeno, vinto dalla instanza grande del re e della madre, e ingannato dalla fede datagli da loro e da’ ministri preposti alla amministrazione delle pecunie che non prima arriverebbe a Milano che i danari dimandati, ritornò con grandissima celeritá, preparando sollecitamente le cose necessarie alla difesa; per la quale aveva insieme col re deliberato che alle genti d’arme regie che allora erano in Lombardia si unissino gli aiuti di seicento uomini d’arme e di seimila fanti a’ quali erano tenuti i viniziani, che prontamente gli offerivano, e giá facevano cavalcare le genti d’arme nel veronese e nel bresciano; soldare diecimila svizzeri, tenendo per certo che per virtú della nuova confederazione non sarebbono negati; e fare passare di Francia in Italia seimila venturieri, e aggiugnere qualche numero di fanti italiani. Co’ quali sussidi speravano o potere senza molto pericolo tentare la fortuna di una giornata o, quando non avessino forze bastanti a questo, almeno, provedendo sufficientemente le terre e temporeggiando in sulle difese, straccare gli inimici; de’ quali l’uno, per la sua naturale prodigalitá e per le spese fatte nella guerra di Urbino, era esausto di danari, all’altro i regni suoi non ne somministravano copia tale che si credesse potere lungamente nutrire una guerra di tanto peso. Pensavano, oltre a questo, che Alfonso da Esti, disperando dello stato proprio se il pontefice otteneva la vittoria, o si movesse per ricuperare