Pagina:Guicciardini, Francesco – Storia d'Italia, Vol. V, 1929 – BEIC 1848561.djvu/127

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libro decimottavo- cap. v 121

gennaio arrivò a Roma senza danari, e dieci dí poi arrivorono ventimila ducati; de’ quali avendone ritenuti Renzo quattromila per le spese fatte da sé e sua pensione, diecimila per la impresa dello Abruzzi, soli seimila ne pervennono nel pontefice: il quale sotto queste promesse aveva, quasi tre mesi innanzi, rotta la tregua. Promesse il re di pagargli per la concessione della decima, fra otto dí, scudi venticinquemila e trentacinquemila altri fra due mesi; ma di questi non ricevé mai il pontefice se non novemila portati da Robadanges. Partí dal re di Francia, il duodecimo dí di febbraio, Pagolo d’Arezzo; al quale, per dare maggiore animo alla guerra, promesse, oltre a tutti i predetti, ducati ventimila: i quali, mandati dietro a Langes non passorono mai Savona. Era obligato il re per i capitoli della confederazione a mandare dodici galee sottili; diceva averne mandate sedici, ma il piú del tempo tanto male provedute e senza uomini da porre in terra che non partivano da Savona: le quali se, nel principio che si roppe la guerra contro al reame di Napoli, si fussino congiunte subito con le galee del pontefice e de’ viniziani, arebbono, secondo il giudicio comune, fatto grandissimi progressi. L’armata de’ grossi navili, certamente molto potente, benché molte volte promettesse mandarla verso il regno, per quale si fusse cagione, non si discostò mai dalla Provenza o da Savona; e dopo avere concorso a dare due paghe a’ fanti del marchese di Saluzzo, concordò co’ viniziani, i quali tenevano minore numero di gente che quelle alle quali erano obligati, che ’l pagamento loro si traesse della contribuzione de’ quarantamila ducati. E i conforti e gli aiuti del re di Inghilterra erano troppo lontani e troppo incerti. Vedeva i viniziani tardi ne’ pagamenti delle genti; per colpa de’ quali i fanti di Saluzzo e i svizzeri, che alloggiavano in Bologna, erano quasi inutili. Spaventavano le variazioni e il modo del procedere del duca d’Urbino, per la quale [cosa] conosceva non si avere a fare ostacolo alcuno che l’esercito imperiale non passasse in Toscana; donde, per la mala disposizione del popolo fiorentino, per lo avere i cesarei aderente la cittá di Siena, comprendeva cadere in