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libro decimottavo- cap. v 123

maggiore animo il persuadersi che il duca di Borbone fusse inclinato alla concordia, per le difficoltá che aveva a procedere nella guerra (perché sempre aveva dimostrato a lui desiderarla) e per una sua lettera al viceré, intercetta dal luogotenente, per la quale lo confortava a concordare col pontefice quando si potesse farlo con onore di Cesare. Al quale ritornò, pochi dí dopo la giunta del viceré, a significare le cose fatte e a trattare della pace [il generale di San Francesco].

Ma molto diversamente procedevano le cose intorno a Bologna: perché avendo il pontefice, subito dopo la stipulazione della tregua, espedito Cesare Fieramosca a Borbone perché approvasse la concordia, e ricevuto che avesse i danari levasse l’esercito del territorio della Chiesa, si scopersono, forse in Borbone ma senza dubbio ne’ soldati, infinite difficoltá, dimostrandosi ostinati a volere seguitare la guerra, o perché s’avessino proposto speranza di grandissimo guadagno o perché i danari promessi del pontefice non bastassino a sodisfargli di due paghe; e però molti credettono che se fussino stati centomila ducati arebbono facilmente accettata la tregua. Quel che ne fusse la cagione certo è che, dopo la venuta del Fieramosca, non cessavano di predare il bolognese come prima e fare tutte le dimostrazioni degli inimici; e nondimeno Borbone, il quale faceva fare le spianate verso Bologna, e il Fieramosca davano speranza al luogotenente che non ostante tutte le difficoltá l’esercito accetterebbe la tregua, affermando Borbone essere necessitato a fare le spianate per intrattenere l’esercito con la speranza del procedere innanzi, insino a tanto l’avesse ridotto al desiderio suo, il quale era di conservarsi amico del pontefice. E nondimeno, nel tempo medesimo, venivano, per ordine del duca di Ferrara, allo esercito provisioni di farine guastatori carri polvere e instrumenti simili; il quale si gloriò poi né i danari dati loro né tutti questi aiuti passare il valore di sessantamila ducati. E da altra parte, il duca di Urbino, simulando di temere che quello esercito, accettata la tregua, non si volgesse al Pulesine di Rovigo, ritirò le genti viniziane di lá dal Po a Casale Maggiore.