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andassino a Napoli o a Gaeta per aspettare quello che di loro determinasse Cesare; desse statichi allo esercito per l’osservanza de’ pagamenti (de’ quali la terza parte apparteneva agli spagnuoli) gli arcivescovi sipontino e pisano, i vescovi di Pistoia e di Verona, Iacopo Salviati, Simone da Ricasoli e Lorenzo fratello del cardinale de’ Ridolfi: avessino facoltá di partirsi sicuramente del Castello Renzo da Ceri, Alberto Pio, Orazio Baglione, il cavaliere Casale oratore del re di Inghilterra; e tutti gli altri che vi erano rifuggiti, eccetto il pontefice e i cardinali: assolvesse il pontefice dalle censure incorse i Colonnesi, e che quando fusse menato fuori di Roma vi restasse uno legato in nome suo, e l’auditorio della ruota proposto a rendere ragione. Il quale accordo come fu fatto, entrò nel Castello con tre compagnie di fanti spagnuoli e tre compagnie di fanti tedeschi il capitano Alarcone; il quale, deputato alla guardia del Castello e della persona del pontefice, lo guardava con grandissima diligenza, ridotto in abitazioni anguste e con piccolissima libertá.

Ma non furono con la medesima facilitá consegnate l’altre fortezze e terre promesse: perché quella di Civita Castellana era custodita in nome de’ collegati; quella di Civitavecchia recusò di consegnare Andrea Doria, benché n’avesse comandamento dal pontefice, se prima non gli erano pagati quattordicimila ducati, de’ quali diceva di essere creditore per gli stipendi suoi. A Parma e a Piacenza andò in nome del pontefice Giuliano Leno romano, architettore, in nome de’ capitani Lodovico conte di Lodrone, con comandamento alle cittá di obbedire alla volontá di Cesare; benché da altra parte avesse fatto occultamente intendere loro il contrario: le quali cittá, aborrendo lo imperio degli spagnuoli, recusorono di volergli ammettere. Ma i modonesi non erano piú in potestá propria, perché il duca di Ferrara, non pretermettendo l’occasione che gli davano le calamitá del pontefice, minacciando di dare il guasto alle biade giá mature, gli costrinse a dargli il sesto dí di giugno la cittá; non senza infamia del conte Lodovico Rangone, il quale, benché il duca avesse seco poca gente, se