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libro decimottavo- cap. xiii 167

la concordia, si partissino tutte le genti franzesi di Italia, il che il re recusava se prima non gli erano restituiti i suoi figliuoli. Le quali dimande quando si sperava mitigasse, lo fece (secondo il costume suo di non cedere alle difficoltá) piú pertinace la perdita di Alessandria e di Pavia, in modo che, essendo venuto a lui il quintodecimo dí di ottobre, di Inghilterra, l’auditore della camera, a sollecitare in nome di quello re la liberazione del pontefice, rispose avere proveduto per il generale; e che quanto allo accordo non voleva, né per amore né per forza, alterare le condizioni che aveva proposte prima. Ma certamente si comprendeva non essere Cesare molto inclinato alla pace, perché contro alla potenza degli inimici gli davano animo molte cagioni: perché confidava avere a resistere in Italia, per la virtú del suo esercito e per la facilitá del difendere le terre; potere sempre con piccola difficoltá fare passare nuovi fanti tedeschi; essere esausti il re di Francia e i viniziani per le lunghe spese, le provisioni loro (come è consueto nelle leghe) interrotte e diminuite; confidarsi di potere esigere danari di Spagna a bastanza, con ciò sia che sostentava la guerra con spese molto minori (per le rapine de’ soldati) che gli avversari, e perché sperava di disunire o di fare piú negligenti i collegati con qualche arte; e finalmente perché molto si prometteva della sua grandissima felicitá, comprovata con la esperienza di molti anni, e pronunziatagli con innumerabili vaticini insino da puerizia.


XIV

Indugi di Lautrech per ordini del re di Francia. Condizioni con cui il duca di Ferrara si allea ai confederati; entrata del marchese di Mantova nella confederazione. Posizioni degli eserciti nemici nell’Italia centrale; ancora della lentezza del Lautrech. Accordi per la liberazione del pontefice dalla prigionia. Il pontefice a Orvieto.

Ma in questo tempo Lautrech (per l’autoritá del quale, come arrivò in Italia, il duca di Ferrara aveva operato che i Mariscotti restituissino a’ bolognesi Castelfranco, e che i