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libro decimonono - cap. viii 251


Non lasciava anche il pontefice stare quieto il duca di Ferrara, tanto alieno dalle convenzioni fatte in nome del collegio de’ cardinali con lui che, essendo vacato di nuovo il vescovato di Modona per la morte del cardinale da Gonzaga, promesso al figliuolo del duca in quella convenzione, lo conferí a uno figliuolo di Ieronimo Morone; cercando, per la denegazione del possesso, occasione di provocargli contro questo ministro di autoritá appresso allo esercito imperiale. Ma si crede che ancora, per mezzo di Uberto da Gambara governatore di Bologna, trattasse con Ieronimo Pio di occupare Reggio: del quale il duca, pervenutogli indizio di questa pratica, fece pigliare il debito supplicio. Trattava anche di recuperare furtivamente Ravenna, cosa che medesimamente riuscí vana.

Nel quale tempo anche, o poco poi, il pontefice, inclinando ogni dí piú con l’animo alle parti di Cesare, ed essendo giá con lui in pratiche molto strette, per le quali mandò il vescovo di Vasone suo maestro di casa a Cesare, avocò in ruota la causa del divorzio di Inghilterra: cosa che arebbe fatto molto innanzi se non l’avesse ritenuto il rispetto della bolla che era in Inghilterra, in mano del Campeggio. Perché, essendo augumentate le cose di Cesare in Italia, non solamente non volendo offenderlo piú ma rivocare l’offesa che gli aveva fatta, deliberato eziandio, innanzi che ammalasse, di avocare la causa, mandò Francesco Campana in Inghilterra al cardinale Campeggio, dimostrando al re mandarlo per altre cagioni pure attenenti a quella causa, ma con commissione al Campeggio che abbruciasse la bolla: il che benché differisse di eseguire, per essere sopravenuta la infermitá del pontefice, guarendo poi, messe a effetto il comandamento suo. Però il pontefice, liberato da questo timore, avocò la causa, con indegnazione grandissima di quel re, massime quando dimandando la bolla al cardinale intese quello che ne era successo. Partorirono queste cose la ruina del cardinale eboracense, perché il re presupponeva la autoritá del cardinale essere tale appresso al pontefice che, se gli fusse stato grato il matrimonio con Anna, arebbe