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i capitoli della confederazione, e querelandosene gravemente San Polo, fu deliberato di accostarsi con uno campo solo a Milano dalla banda del lazaretto; non ostante che il conte Guido dicesse che Antonio de Leva, il quale non teneva altro che Milano e Como, usava dire che Milano non si poteva sforzare se non con due campi. Ma pochi dí poi, congregati i capi dell’uno e l’altro esercito in Lodi, per consultare di nuovo, il duca di Milano e il duca di Urbino, benché prima avessino fatto instanza che si andasse a campo a Milano e dissuaso lo andare a Genova, consigliorono il contrario; allegando il duca di Urbino, per questa nuova deliberazione, molte ragioni, ma principalmente che, poiché Cesare si preparava a passare in Italia (per il quale condurre era partito con le galee il Doria, agli otto di giugno, da Genova), e che si intendeva che in Germania si faceva preparazione di mandare nuovi tedeschi sotto il capitano Felix non sapeva quello che fusse meglio, o pigliare Milano o non lo pigliare. Allegavansi da lui queste ragioni, ma si credeva che veramente lo movesse l’antica sua consuetudine di non fare né dell’animo né della virtú esperienza alcuna, o che forse, persuadendosi dovere succedere la pace che si trattava in Fiandra, avesse dimostrato al senato viniziano, il quale fortificava Bergamo, essere inutile, o ammesso o escluso che ne fussi, spendere per la recuperazione di Milano. La somma del suo consiglio fu che le genti de’ viniziani si fermassino a Casciano, quelle del duca di Milano a Pavia, San Polo a Biagrassa, attendendo a vietare co’ cavalli che vettovaglie non entrassino a Milano, dove si stimava fussino per mancare presto, perché era seminata piccolissima parte di quello contado. Non potette San Polo rimuovergli da questa sentenza, ma non approvò giá il fermarsi col suo esercito a Biagrassa, allegando che ad affamare Milano bastava che le genti viniziane si fermassino a Moncia, le sforzesche a Pavia e a Vigevano, e che il re lo stimolava, in caso non si andasse a campo a Milano, di fare la impresa di Genova: la quale aveva in animo di tentare con celeritá grande, sperando che, in assenza del Doria, Cesare Fregoso, che era