Pagina:I promessi sposi (1825) II.djvu/13

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Ed ecco arrivare il capitano di giustizia, in mezzo ad un drappello di alabardieri. “Largo, largo, figliuoli: a casa, a casa; date il passo al capitano” grida egli e gli alabardieri. La gente, che non era ancor troppo fitta, fa un po’ di luogo; tanto che quelli poterono arrivare, e addossarsi, stretti se non ordinati, alla porta chiusa della bottega. “Ma figliuoli,” perorava di quivi il capitano: “che fate qui? A casa, a casa. Dov’è il timor di Dio? Che dirà il re nostro signore? Non vogliamo farvi male; ma andate a casa. Da bravi! Che diamine volete far qui così insaccati? Niente di bene nè per l’anima, nè pel corpo. A casa, a casa.” Ma quei che vedevano la faccia del dicitore, e udivano le sue parole, quand’anche avessero voluto obbedire, dite un po’ in che modo avrebber potuto, spinti com’erano, e inzeppati da quei di dietro, calcati anche essi da altri, come flutti da flutti, di grado in grado, fino alla estremità della calca, che andava sempre crescendo. Il capitano cominciava a patire un po’ d’affanno. “Fateli dare addietro ch’io riabbia il fiato,” diceva agli alabardieri: “ma non fate male a nessuno. Vediamo d’entrare in bottega: picchiate; fateli stare indietro.”

“Indietro! indietro!” gridano gli alabardieri,