Pagina:I promessi sposi (1825) II.djvu/313

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pochi istanti. Volendo quindi dissipare affatto quell’ombre codarde, e non gli piacendo di tirare in disparte il curato e di parlottargli in segreto, mentre il suo novello amico era lì in terzo, pensò che il mezzo più opportuno era di fare ciò che avrebbe fatto anche senza questo motivo, parlare all’innominato medesimo; e dalle sue risposte don Abbondio intenderebbe finalmente che quegli non era più uomo da averne paura. Si avvicinò dunque all’innominato, e con quell’aria di spontanea confidenza che si trova in una nuova e potente affezione come in una antica intrinsichezza, “non crediate” gli disse, “ch’io mi contenti di questa visita per oggi. Voi tornerete, n’è vero? in compagnia di questo dabbene ecclesiastico?”

“S’io tornerò?” rispose l’innominato: “quando voi mi rifiutaste, io mi rimarrei ostinato alla vostra porta, come il mendico. Ho bisogno di parlarvi! ho bisogno di udirvi, di vedervi! ho bisogno di voi!”

Federigo gli prese la mano, gliela strinse, e disse: “farete dunque il favore al parroco di questo paese e a me di pranzar con noi. Vi aspetto. Intanto, io vado a pregare, e a render grazie col popolo; e voi a cogliere i primi frutti della misericordia.”