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CAPITOLO VII. 123

“ Anderete voi giù al convento, per parlare al padre Cristoforo, come v’ha detto ier sera? ” domandò Agnese a Renzo.

“ Le zucche! ” rispose questo: “ sapete che diavoli d’occhi ha il padre: mi leggerebbe in viso, come sur un libro, che c’è qualcosa per aria; e se cominciasse a farmi dell’interrogazioni, non potrei uscirne a bene. E poi, io devo star qui, per accudire all’affare. Sarà meglio che mandiate voi qualcheduno. ”

“ Manderò Menico. ”

“ Va bene, ” rispose Renzo; e partì, per accudire all’affare, come aveva detto.

Agnese andò a una casa vicina, a cercar Menico, ch’era un ragazzetto di circa dodici anni, sveglio la sua parte, e che, per via di cugini e di cognati, veniva a essere un po’ suo nipote. Lo chiese ai parenti, come in prestito, per tutto quel giorno, - per un certo servizio, - diceva. Avutolo, lo condusse nella sua cucina, gli diede da colazione, e gli disse che andasse a Pescarenico, e si facesse vedere al padre Cristoforo, il quale lo rimanderebbe poi, con una risposta, quando sarebbe tempo. - Il padre Cristoforo, quel bel vecchio, tu sai, con la barba bianca, quello che chiamano il santo...

“ Ho capito, ” disse Menico: “ quello che ci accarezza sempre, noi altri ragazzi, e ci dà, ogni tanto, qualche santino. ”

“ Appunto, Menico. E se ti dirà che tu aspetti qualche poco, lì vicino al convento, non ti sviare: bada di non andar, con de’ compagni, al lago, a veder pescare, nè a divertirti con le reti attaccate al muro ad asciugare, nè a far quell’altro tuo giochetto solito...

Bisogna saper che Menico era bravissimo per fare a rimbalzello;