Pagina:I vecchi e i giovani Vol. I Pirandello.djvu/14

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C’era una chiacchiera in paese, la quale di giorno in giorno si veniva sempre più raffermando, che tutti gli operai delle città maggiori dell’isola, e le contadinanze e, più da presso, nei grossi borghi dell’interno, i lavoratori delle zolfare si volessero raccogliere in corporazioni o, come li chiamavano, in fasci, per ribellarsi non pure ai signori, ma ad ogni legge, dicevano, e far man bassa di tutto.

Più volte, essendo di servizio nell’anticamera, ne aveva sentito discutere nel salone. Il Principe — s’intende — ne dava colpa al governo usurpatore, che prima aveva gabbato o poi affamato le popolazioni dell’isola con imposte e manomissioni inique e spudorate; gli altri gli facevano coro; ma Monsignor Vescovo pareva a Sciaralla che meglio di tutti sapesse scoprir la piaga.

Il male, il vero male, il più gran male fatto dal nuovo governo non consisteva tanto nell’usurpazione, che faceva ancora e giustamente sanguinare il cuore di S. E. il Principe di Laurentano. Monarchie, istituzioni civili e sociali: cose temporanee; passano; si farà male a cambiarle agli uomini o a toglierle di mezzo, se giuste e sante; sarà un male però possibilmente rimediabile. Ma se togliete od oscurato agli uomini ciò che dovrebbe splendere eterno nel loro spirito: la fede, la religione? Orbene, questo aveva fatto il nuovo governo! E come poteva più il popolo starsi quieto tra le tante tribolazioni della vita, se più la fede non glielo faceva accettare con rassegnazione e anzi con giubilo, come prova e promessa di premio in un’altra vita? La vita è una sola? questa? Le tribolazioni non avranno un compenso di là, se con rassegnazione sopportate? E allora per qual ragione più accettarle e sopportarle? Trionfi il numero allora, e prorompa l’istinto