Pagina:I vecchi e i giovani Vol. I Pirandello.djvu/19

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subito, senz’altro, per una spia: lo afferrò, lo legò, lo tenne appeso a un albero, per tutto il giorno alla notte lo sciolse e mandò via; ma tanta era stata la paura, che il frate non potò riaversene e ne morì poco dopo.

Quest’avventura era più viva delle altre nella memoria di Sciaralla, non solo perchè in essa Mauro Mortara si mostrava, come a lui piaceva di crederlo, feroce, ma anche perchè l’albero, a cui il francescano era stato appeso, era ancora in piedi presso la villa, e Mauro non tralasciava mai d’indicarglielo, accompagnando il cenno con un muto ghigno e un lieve tentennar del capo, atteggiato il volto di schifo nel vedergli addosso quell’uniforme borbonica.

— Coraggio, coraggio, Titina!

Conveniva soffrirseli in pace gli sgarbi e i raffacci di quel vecchio. Il quale, sì, guai e rischi d’ogni sorta ne aveva toccati o affrontati in vita sua, senza fine; ma che fortuna, adesso, servire sotto don Cosmo, che non si curava di nulla mai, fuori di quei suoi libracci che lo tenevano tutto il giorno vagante come in un sogno pe’ viali di Valsanìa!

Che differenza tra il Principe suo padrone e questo don Cosmo! che differenza poi fra entrambi questi fratelli e la sorella donna Caterina Auriti, che viveva — vedova e povera — a Girgenti!

Da anni e anni tutti e tre erano in rotta tra loro.

Donna Caterina Laurentano aveva seguito lei sola le nuove idee del padre; e poi si diceva che, da giovinetta, aveva recato onta alla famiglia, fuggendo di casa con Stefano Auriti, morto poi nel Sessanta, garibaldino, nella battaglia di Milazzo, mentre combatteva accanto al Mortara e al figlio don Roberto, che ora viveva a Roma e che allora era ragazzo di appena dodici anni, il più piccolo dei Mille.