Pagina:I vecchi e i giovani Vol. I Pirandello.djvu/45

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tennando il capo, come se avesse dinanzi il fratello e lo commiserasse amaramente.

— Mi domanda la villa, — poi rispose, lasciandosi cadere a una a una le parole dalle labbra, — la villa, per Flaminio Salvo.

— Qua? — domandò Mauro con un soprassalto, quasi don Cosmo gli avesse dato un pugno in faccia.

— Qua? — ripetè, tirandosi indietro. — A Flaminio Salvo, la villa del Generale Laurentano?

Ma don Cosmo non s’infuriava come Mauro per l’immaginaria profanazione de la villa: era sì oppresso di doloroso stupore per ciò che significava quell’ospitalità offerta al Salvo dal fratello. Pochi giorni addietro, un amico, Leonardo Costa, che veniva qualche volta a trovarlo dal vicino borgo di mare, gli aveva riferito la voce che correva a Girgenti d’un prossimo matrimonio di don Ippolito con la sorella nubile, zitellona, del Salvo. Don Cosmo non aveva voluto crederci: suo fratello Ippolito aveva due anni più di lui, sessantacinque; da dieci era vedovo e s’era mostrato sempre inconsolabile, pur nella sua compostezza, della morte della moglie, santa donna.... Impossibile! — Eppure....

— Gli risponderete di no? — disse Mauro minaccioso, dopo avere atteso un momento.

Don Cosmo aprì le braccia e sospirò, con gli occhi chiusi:

— Sarebbe inutile! E poi, del resto....

— Come! — lo interruppe Mauro. — Il Salvo, quell’usurajo baciapile, qua? Ma me ne vado io, allora! E non vi ricordate, perdio, che suo padre andò ad assistere al Te Deum quando vostro padre fu mandato in esilio? E lui, lui stesso giovanotto, non insegnò alla sbirraglia borbonica la casa dove s’era nascosto don Stefano Auriti con vostra sorella