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vizio: quindi i giovedì, le domeniche e le altre feste civili o religiose non venivano pagati: e in caso di malattia, nulla. Ed io ero spesso malazzata per la gracilità della mia costituzione a cui, forse, non giovavano le fatiche dell’insegnamento e gli urli a cui mi condannavano i sistemi pedagogici delle maestre titolari, alle quali, volere o no, dovevo star sottoposta. Lo stipendio mi andava quasi tutto in bistecchine, in olio di fegato di merluzzo, in pasticche e in flanelle...

Il povero e buon Dazzi, a cui nulla sfuggiva, mi disse un giorno:

— Ella è abbastanza colta per dare qualche lezione particolare.

— Davvero, professore? — domandai tutta contenta.

— Glie lo assicuro. Del resto, son qua io per aiutarla sempre. Le dico tutto questo perchè ieri il provveditore agli studi, comm. Cammarota, mi chiese una giovane maestra toscana, buona ed intelligente, per dar lezioni di coltura generale ad una signorina, figliuola d’una sua amica. Vuole ch’io la proponga? Non le daranno meno di cinquanta o sessanta lire al mese per tre conversazioni o lezioni la settimana.

Scambiai uno sguardo di felicità con la mamma, e il giorno dopo mi presentavo al comm. Cammarota che mi accolse con paterna amorevolezza e mi dette una lettera per donna Giulia Marliani, la madre della mia futura scolara.

Oh cara donna Giulia, o indimenticabile signora Norina Franchetti! Voi siete state sempre per me così buone, così fraternamente gentili, che in poche più case, dopo le vostre, sono potuta entrare in qualità d’insegnante! Voi siete state, con me, così squisita-