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vari modi co’ quali si usa e si può cedere agli editori le proprietà delle opere letterarie.

Da questi schiarimenti apparirà che i cospicui guadagni fatti da altri sulla mia opera, si doverono più alla mia inesperienza in materia amministrativa e finanziaria che allo spirito commerciale degli speculatori, i quali nello stretto senso legale della parola, si comportarono con me benissimo; o per lo meno, correttamente. Essi si preoccuparono del loro interesse, senza direttamente o volontariamente nuocere al mio.

Quando un autore ha fatto un libro può: 1° farlo stampare a sue spese da un tipografo qualunque e affidare il deposito delle copie a due, quattro, otto, dieci librai che si incarichino di venderlo; e dopo sei mesi od un anno, regolati i conti con la tipografia, verificare i profitti e le perdite. In questo caso l’autore è anche editore; ma è raro che chi scrive abbia anche il modo e la capacità di lanciare la pubblicazione; tanto più poi che i librai, non essendo la vendita del libro affidata alle loro cure, di loro interesse, non si curano menomamente dell’esito. 2° Può vendere il manoscritto dell’opera all’editore, concedendogliene la definitiva proprietà, per una somma qualunque.

L’autore non ha altri diritti, salvo qualche piccolezza ad ogni nuova edizione (lire 75, 100, 150). È precisamente questa piccolezza il nodo della questione. Infatti se il libro non ha esito, e, come si dice commercialmente, non va, l’editore rimette o quasi, almeno parte delle spese incontrate nella prima edizione; e non altro, perchè naturalmente egli non pensa a pubblicarne una nuova, avendo ancora in magazzino gli esemplari della prima; ma se invece il volume ottiene