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XXIV.

Fioritura.

(1881-82).

Siccome il lavoro, fin da piccina, non mi ha mai fatto paura, così le mie molteplici relazioni con gli editori che crebbero prodigiosamente dall’ottanta all’ottantaquattro e i conseguenti impegni che — per vivere — fui costretta ad assumere, non scossero per nulla la mia tranquillità. Collaboravo contemporaneamente a cinque, sei, sette giornali alla volta, senza risentirne la menoma fatica: e mi faceva così piacere il sentirmi apprezzata ed amata, provavo una soddisfazione così dolce che al mio giovane ingegno fossero fatte accoglienze tanto calde e lusinghiere, che non mi spaventava affatto il pensiero delle lunghe fatiche.

Pochi mesi dopo la gentile presentazione di Ubaldino Peruzzi, scrissi a Vittorio Bersezio, offrendo la mia collaborazione alla Gazzetta letteraria che egli dirigeva. L’illustre uomo, forse troppo benevolmente, accettò subito la modesta opera mia, esprimendo soltanto il rammarico che l’editore (oh, gli editori!) non avrebbe potuto compensarla come meritava, e che la retribuzione sarebbe stata perciò più che modica. La cortese benevolenza del Bersezio mi aprì il cuore; mandai subito scritti alla Gazzetta ed iniziai col suo direttore