Pagina:Ida Baccini, La mia vita ricordi autobiografici.djvu/216

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diamo risolutamente quando ci sovrasta qualche pericolo. Avvezza, fin da piccola, a nutrire la più grande riverenza per l’autorità maschile, convinta che una donna sola, a questo mondo, non dovesse riuscire, grazie alle sue qualità personali, di aprirsi in qualche modo una via; il dolore per la perdita del marito l’accasciò a tal segno, da ridurla quasi all’impotenza.

Non solo non seppe mantenere vivo il suo piccolo commercio, ma l’affidò completamente alle mani del figliuolo, ancora inesperto e di un commesso, il quale — come tutti i commessi — si curava fino ad un certo segno di far prosperare gli interessi della padrona. Così, quantunque Drea alla sua morte, le lasciasse una bella somma in contanti, la bottega ben provvisti! di generi di cartoleria, e la casa piena di ogni ben di Dio, la mia povera sorella non seppe sfruttare abilmente queste risorse e — apaticamente — lasciò fare agli altri. Inutile dire che gli affari andarono sempre peggio, finché un bel giorno le convenne di ritirarsi e farla finita.

Fra il settantasei e il settantasette strinse amicizia col tenente Pietro Leoni, che sposò poi nel 1884. In quegli anni, dal 77 in su, ella lasciò la casa di Piazza Pitti dove conviveva con una sua parente, Teresa Ferrini, 1 e venne a star con me a S. Gallo. Nel 79, volendo vivere assolutumente libera e non volendo d’altra parte


  1. Cara simpatica donna che per vent’anni è vissuta presso di me, circondandomi di cure e tenerezze materne. Anch’essa dorme in pace accanto ai miei, sulle laminose alture di Trespiano.